Val Maira, una vacanza in cammino con i bambini

Sono le 11 di sera, ma Niccolò, Gaia, Giovanni, Viola, Sofia e Pietro non ne vogliono sapere di andare a letto e nella la piccola camerata con 4 letti a castello, in un caos di sacchi letto aperti, coperte arrotolate e zaini aperti, sembra sia scoppiata una bomba, tanto è il disordine. “Giochiamo ancora un po’ a nascondino!!” ci implorano i ragazzi al nostro ordine di andare a letto. Non ci sarebbe nulla di strano se non che questi ragazzi, di età compresa tra i 5 e i 13 anni, è 5 giorni che camminano con il loro zainetto. Questa mattina si sono svegliati alle 7 e mezzo, hanno camminato per più di 7 ore lungo la tappa più impegnativa del percorso e hanno fatto più di 1000 metri di dislivello. Certo, non sono mancati i momenti di sconforto, come nell’ultimo tratto di salita, quando Niccolò e Giovanni, i due “ometti” del gruppo si “piantano” sul sentiero e solo una lunga discussione e la grande pazienza dei rispettivi genitori riescono a farli ripartire. Resterà anche nei nostri ricordi anche il sentiero fatto a passo di lumaca insieme a Pietro, il più piccolo del gruppo con i suoi 5 anni e lo sguardo furbo e tenero del Pinocchio di Comencini, andando avanti solo cantando come un mantra “alla fiera dell’est” e soffermandosi su tutte le creature viventi più grosse di una formica. Poi però basta un prato per vederli di nuovo correre a perdifiato e una sosta, presso una fonte fornita di tubo per innaffiare, si trasforma subito in un gioco di schizzi di mezz’ora che gli fa passare subito tutte le “stanchezze”. Ormai è chiaro, dopo averli osservati per quasi una settimana, ai bambini non mancano le forze fisiche, perché sono praticamente inesauribili e siamo sicuramente più stanchi noi genitori la sera, ma solo lo scopo, la motivazione. A un bambino non interessa molto arrivare in quel paese o fare un determinato percorso perché c’è un bel panorama, anche se poi lo riconosce, ma la sua spinta è un'altra e se non c’è il gioco e dei coetanei con cui giocare, ben presto si stanca, ma più con la testa che con le gambe.
Certo un trekking lungo il sentiero Occitano in Val Maira, non è una “prima” molto semplice per un gruppo di genitori e bambini, alcuni dei quali non si conoscono neppure, ma se è vero più sono le difficoltà, più si “cresce”, questa è l’occasione buona per verificarlo.
Abbiamo scelto questo itinerario perché sappiamo che è ben segnalato, ci sono dei posti tappa semplici e poco costosi e non troppo distanti l’uno dall’altro e non presenta difficoltà particolari, tranne che siamo sulle Alpi e che quindi le salite e le discese sono inevitabili. Con il tempo siamo poi fortunati, è appena passata una mezza alluvione, il primo accenno di caldo estivo non è ancora troppo forte e le praterie sono un tripudio di fiori che lasciano sbalorditi anche altri veterani camminatori. Per tutti noi comunque è una piacevole sorpresa la scoperta di questa valle poco conosciuta, non percorsa da grandi vie di comunicazione, ma con una miriade di paesini ognuno con la sua chiesa, con le sue architetture che vanno da resti medioevali di castelli, a ricchi tabernacoli barocchi e a stupende case contadine in legno e pietra. Il tutto poi collegato da una fitta rete di sentieri che parlano di transumanze di pastori, invasioni di eserciti e di emigrazione, qualche volta anche molto particolare, come nel caso di Elva.

Questo piccolo paese, adagiato in una larga vallata esposta a meridione, oltre a ospitare un pregevolissimo affresco di Hans Claimer ha un piccolo museo che racchiude la testimonianza di un lavoro veramente singolare che impiegava quasi tutta la popolazione di Elva; la lavorazione dei capelli.
Gli Elvesi erano infatti conosciuti in tutto il nord Italia come raccoglitori ambulanti di capelli che tutti i maschi adulti del paese andavano a raccogliere in varia maniera, per poi riportarli al paese, lavorarli e rivenderli per fabbricare parrucche. I capelli più pregiati erano quelli di donne anziane, meglio se il pelo era bianco candido, ma anche le lunghe trecce di giovani spose erano molto apprezzati. Di solito le donne vendevano i loro capelli per guadagnare qualche soldo, per tirare avanti nella vecchiaia, per fare la dote alla figlia, per pagare un debito. Quelli delle contadine del nord valevano di più perché di solito erano nascosti da fazzoletti, mentre quelli delle contadine del sud, più esposti al sole e al vento, e quindi più rovinati, valevano molto meno. I maschi elvesi quindi dopo aver battuto, a piedi, per mesi, fattorie e cittadine, scambiando i particolari”velli” con merletti, attrezzi per cucire, bigiotteria, ritornavano a casa con una cinquantina di chili di capelli, mescolati, sporchi, qualche volta anche pidocchiosi, che poi dovevano essere lavati e di nuovo separati e raccolti per colore. Questo era il lavoro delle donne di Elva che passavano i loro inverni in questa certosina attività di cui soprattutto un particolare mi ha colpito: riuscivano a riconoscere, di un capello, l’inizio dalla fine! Il risultato finale era comunque ben premiato. Le parrucche bianco cenere più belle erano vendute anche a Londra e finivano sulla testa di qualche lord a prezzi che potevano valere una piccola casa.
Un altro incontro particolare è quello che abbiamo una sera, al posto tappa di Usello, con Prezzemolo, un simpatico signore che è venuto apposta per noi a raccontarci, con storie e battute, la sua infanzia di povertà, passata però ad arrangiarsi per inventare giochi e passatempi che in un piacevole spettacolo dal vivo fa vivere ai nostri bambini che rimangono affascinati e a bocca aperta di fronte al carro armato a elastico, al frullino e a vedere giocare alla lippa.

Lungo il percorso sentiamo molto parlare di cultura occitana e di Occitania, di questa regione che si estende dalle pendici occidentali dei Pirenei spagnoli, percorre tutta l’antica Linguadoca e si insinua lungo le valli alpine per risalirle dal versante francese e scendere di nuovo in terra sabauda, lungo questa valle, la val Varaita e le altre vicine. Ma a sentire i valligiani, sono in pochi a sentirsi accomunati in questa grande lega transnazionale, che riprende alcune caratteristiche culturali comuni, come la musica, ma il cui vero collante, benché si tenti di rinverdirlo con un intrigante battage mediatico, è ormai svanito nei secoli.
Il nostro sentiero invece è straordinariamente reale e panoramico, come il Colle Sarasin a cui siamo arrivati dopo una dura salita che ci ha impegnati duramente prima come genitori, perché Pietro, la nostra mascotte di 5 anni non ne voleva sapere di salire e per più di un ora abbiamo fatto salti mortali per convincerlo e ad accompagnarlo a passo di lumaca fino alla cima. Per fortuna, la vista ripaga anche da uno sforzo del genere, e con gli altri ragazzi ci divertiamo a salire alcune roccette, a correre e anche a sonnecchiare sul bel prato vicino al quale lasciamo anche una piccola pietra con una testimonianza del nostro passaggio.
Non sempre tutto fila liscio però; una mattina abbiamo mandato i ragazzi in avanscoperta e poco dopo gli abbiamo raggiunti, ma mancava Gaia, mia figlia, che ci hanno detto era avanti perché si era arrabbiata e non voleva fare il percorso con loro. Non ci siamo preoccupati perché il sentiero era ben tracciato e ormai tutti avevamo imparato a seguire i segni gialli, ma in quel posto il sentiero presentava una biforcazione… e così, dopo mezz’ora di cammino, dopo una dura salita senza averla raggiunta, ho concluso che non poteva essere ancora davanti, ma aveva sbagliato strada. Ma dove? L’unica cosa era ritornare indietro, anche se visibilmente preoccupato, lungo la strada percorsa, mentre la mente si affollava di possibilità più o meno drammatiche. Ma per fortuna, al primo incrocio, subito dopo aver incontrato un gruppo di escursionisti tedeschi che mi avevano rassicurato di aver visto una bambina, ecco mia figlia con gli occhi un po’ lucidi, ma sicura che il proprio padre non l’avrebbe mai abbandonata!
Ma le immagini più belle sono state quelle dove le bambine prendevano per mano il piccolo Pietro, e con loro, anche se poco prima con la mamma sembrava sul punto di crollare dalla fatica, riprendere vitalità e camminare ancora a passo spedito per un ora, e poi quando, nel pomeriggio del penultimo giorno, sullo sfondo del Monte Cassorso, vederli tutti insieme, su una strada sterrata tra prati fioriti, che avanzavano allegri, spensierati, con i loro zaini ondeggianti, come se fossero appena partiti.
A conclusione di questa esperienza posso dire che la cosa migliore per fare un trekking ai propri ragazzi è imbrancarsi con altri genitori e altri ragazzi, possibilmente coetanei, non prendersela per eventuali ritardi o soste non programmate, ma essere il più possibile flessibili e prevedere tappe non troppo lunghe, massimo 10-15 chilometri, e non datevi troppo pensiero per i vestiti da portare.
Quando a mio figlio ho chiesto se voleva lavare la maglietta che si portava da 3 giorni e con cui andava anche a dormire, mi ha risposto; “ma non ho mica sudato!”
Per chi invece non sa come fare, l’Associazione “La Boscaglia” promuove trekking per adulti e bambini, ma anche per bambini solamente con un accompagnatore d’eccezione, Massimo Montanari che con i suoi asini trasforma un trekking in una carovana di divertimenti e fantasie.
Anche la Val Maira è un viaggio a piedi proposto nel catalogo dell’Associazione “La Boscaglia”.