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Nelle
terre dei Dukagini
In
queste valli un tempo vivevano pacificamente le genti del Kelmend,
poi un giorno, quando gli uomini erano nei pascoli a lavorare,
arrivò nel villaggio un gruppo di guerrieri Dukagini. Le
donne, per dovere di ospitalità li fecero accomodare in
casa e gli offrirono da bere, ma loro cercavano gli uomini del
villaggio per parlare e così dissero che sarebbero tornati
lindomani. La sera stessa le donne del villaggio raccontarono
ai loro uomini cosa era successo e questultimi gli risposero
che lindomani le donne avrebbero preparato per questi guerrieri
un pranzo abbondante, ma con laccortezza di mettere i cuscini
per sedersi, lontano dal tavolo imbandito. Lindomani i guerrieri
si presentarono di nuovo, e sebbene stizziti per la nuova assenza
degli uomini di Kelmend, accettarono linvito. I guerrieri
entrarono, si misero a sedere, mangiarono e dissero che sarebbero
tornati di nuovo lindomani. La sera i pacifici uomini di
Kelmend, chiesero alle donne il comportamento dei Dukagini: Hanno
sposato i loro cuscini e si sono avvicinati al tavolo? No
risposero le donne, Hanno preso con forza il tavolo e se
lo sono portati vicino a dove erano a sedere, senza spostarsi.
Il giorno dopo la gente del Kelmend abbandonò la loro terra
e si ritirò a nord. Lindomani, quando i guerrieri
Dukagini arrivarono di nuovo a Thethi, lo trovarono deserto e
da quel tempo lontano lo popolano ancora oggi, con pochi cambiamenti
dal tempo dei loro antenati. Il
nostro viaggio per questa valle lontana, nella estrema parte nordorientale
dellAlbania, parte la mattina presto da Shkodra, la quarta
città della nazione, ricostruita dopo il terremoto del
1979 e cresciuta in maniera irregolare ai confini con il Montenegro.
Un furgon già stipato ci prende a bordo e inizia
a percorrere una strada di campagna con una fermata in un mercato
per consentire alle persone a bordo di fare le ultime spese da
portare nei loro remoti villaggi. Il percorso scelto segue un
itinerario particolare che ci porterà a risalire uno del
laghi artificiali più lungo dei Balcani, il Koman, formatosi
con la costruzione di uno sbarramento per la produzione di energia
elettrica. Arrivati dopo circa un ora di curve ai piedi di una
valle rocciosa e alla parete di cemento di una possente diga,
il furgon entra in una galleria scavata rozzamente nella montagna
senza illuminazione che finisce qualche centinaio di metri dopo
su un largo pontile, sulle sponde di un lago serrato da alte pareti
rocciose. Cè la solita atmosfera di confusione, disorganizzazione,
precarietà che regna un po sovrana in Albania: furgoni
e macchine parcheggiate senza regola, un ristorante costruito
su sottili puntelli sulle sponde del lago, un traghetto sgangherato
che aspetta di riempirsi e barche più piccole già
gremite di gente, merci e animali. Tuttintorno gente che
guarda, si sposta, parla e impreca, poi il richiamo del traghetto
ci incita a salire a bordo e lentamente iniziamo la risalita di
questo lago che sembra un placido fiume che per quasi tre ore
ci sorprende con scenari sempre diversi, con attracchi in posti
impensabili dove la gente scende e scarica sacchetti e casse per
dirigersi verso case che non si vedono neppure, per poi attraccare
semplicemente arenandosi sulla spiaggia di Fierze. Da qui un altro
furgon ci porta finalmente, dopo una lunga risalita in una valle
glaciale che non ha nulla ad invidiare alle Alpi nostrali, a Valbona,
dove proviamo il primo agriturismo albanese. La ragazza Maria
è giovane e parla anche bene l'italiano, suo padre Gjoni
ha un viso che sembra uscito dalle foto di un bel libro fotografico
dal titolo Albania, pubblicato nel 1940, proprio dopo l'annessione
dell'Albania all'Italia fascista, in cui, per legittimare la conquista,
si ipotizza il legame tra le due razze grazie al sangue degli
antichi romani e conclude con una dichiarazione di Ciano che forse
farebbe rabbrividire i fascisti e i leghisti di oggi: è
un popolo sobrio, fiero, guerriero, composto di gente altrettanto
pura e nobile quanto la razza italiana...
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Thethi,
o lo ami o scappi via mi dice Roza, che vive a Shkodra,
ma non gli pesa fare anche 5 ore di macchina in un giorno per
aprire la sua casa ai turisti che cercano ospitalità in
questa valle che sembra dimenticata da Dio, ai piedi delle Alpi
Albanesi, guglie di calcare appuntite che sembrano sovrastare
le minuscole case sparse del villaggio. Roza è scappata
perché in effetti la valle è per tutto linverno
isolata e le condizioni di vita veramente dure, per il clima e
per lassenza di negozi e infrastrutture, ma nel suo cuore
cè la voglia di farla rivivere, almeno da giugno
a settembre e mostrare le sue meraviglie ai turisti che stanno
iniziando a scoprire questo angolo di Europa ancora relativamente
incontaminato. Vengono moltissimi Cechi, Tedeschi e Austriaci
ci racconta Rose che è diventata un punto di riferimento
per lo sviluppo turistico della valle. Roze ci racconta anche
dellorganizzazione tedesca che si chiama Gtz e che da diversi
anni ha promosso lo sviluppo della zona grazie anche all'entusiasmo
di Barbara Hausammann, una energica signora svizzera promotrice
dell'iniziativa, che ha portato a segnare i principali sentieri
della valle, sviluppare laccoglienza presso i privati che
possono mettere a disposizione le loro camere e i prodotti dellorto
e dei loro animali, integrando così i loro scarsi guadagni
con l'agricoltura e l'allevamento e che ha pubblicato anche uneccellente
guida della zona, con unaccurata mappa escursionistica,
che ci sta aiutando moltissimo nell'esplorazione della zona. Anche
da Pavlin, un giovane di Thethi che dopo aver lavorato in Italia,
ha deciso di aprire un agriturismo a due passi dalla chiesa del
villaggio, ricostruita negli anni 30 su un prato in cui
pascolano liberi cavalli e pecore, ma che serve alloccorrenza
anche da campo di calcio, sentiamo lo stesso entusiasmo per far
rivivere questa valle.
Parla di prodotti tipici, gli piacere raccogliere le testimonianze
della sua gente e ammira le copie di vecchie foto degli anni 40
della valle che gli ho portato, e che dimostrano quanto poco sia
cambiata da allora. Si è sposato da poco con una ragazza
del Kossovo, la cui pancia preannuncia già una prossima
discendenza, e intende rimanere qui con la sua famiglia. Si mangia
a lume di candela perché qui la luce elettrica non è
sempre assicurata.
Gli raccontiamo della camminata di oggi che dalla valle di Valbona,
attraverso uno splendido sentiero e lomonimo passo, ci ha
condotto fin qui. Alle prime case di Rrogam, mentre chiedevamo
informazioni sul sentiero a una anziano contadino di nome Kola,
questi ci ha invitato a casa sua e non ci ha permesso di ripartire
senza aver assaggiato il suo formaggio e il suo raki. Questa
è la nostra ospitalità! Anche al più spietato
dei nostri nemici non verrebbe rifiutata lospitalità
in casa nostra, queste sono le nostre leggi Già le
leggi della montagna, i kanun tramandate oralmente
nei secoli, servivano per regolamentare la vita, non facile di
questa gente in un ambiente così difficile, fatta di ospitalità,
ma anche di vendette e faide che si lavavano solo con il sangue,
usanza che nei Balcani si può ritrovare solo nella regione
del Mani, nellestremo del Peloponneso. Ultima testimonianza
di questo passato di insicurezza è la casa torre, ora trasformata
in un semplice museo, che ancora oggi fa da guardia a chi arriva
a Thethi risalendo un fiume dallacqua trasparente e selvaggia
che sparisce per un lungo tratto in uno stretto budello attraversato
da un ponticello di legno. Alinterno della torre sono
ancora aperte le strette feritoie che servivano per puntare i
lunghi fucili ad avancarica contro il clan avversario o bersagliarlo
con pietre o altro dalla caditoia sopra la porta di entrata.
Tra le usanze che sembrano ancora in uso più singolari
cè quella della vergine giurata, una
consuetudine raccontata magistralmente in un recente romanzo di
Elvira Dones che spiega come, nel caso che in una famiglia non
ci siano più uomini, è una delle donne che diventa
tale, abbigliandosi come un uomo, non sposandosi più e
frequentando tutta una serie di luoghi e situazioni accessibili
solo al sesso maschile.
Il giorno dopo con Marcus, un compagno di numerosi trekking e
Sabina, amica italiana e cooperante in Albania che fa da facilitatrice
con i suoi contatti e con la sua conoscenza della lingua e degli
usi albanesi, affrontiamo la parte più ardita e avventurosa
del viaggio; la traversata verso il Montenegro dal passo di Pejes.
Solo in una guida ho trovato unindicazione del percorso,
la nostra carta descrive solo il tratto in territorio albanese,
poi sembra terra incognita, e contattando lambasciata
italiana in entrambi gli stati avevamo ricevuto solo dei decisi
dinieghi ad attraversare il confine in quel tratto, ma qui sembra
che non ci sia nessun problema e allora
si parte!
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Risalendo
la valle e lasciate alle spalle le ultime abitazioni sparse di
Okol, la parete dallArapit, che strapiomba per centinaia
di metri diritta come un filo a piombo, si avvicina sempre di
più e il fondo della valle sembra veramente senza via di
uscita, anzi di risalita, perché ci circonda come un muro
verticale alto centinaia di metri. Poi avvicinandosi sempre di
più, una sottile traccia a zig zag sembra inerpicarsi nellunica
fessura di questo muro calcareo. Il sentiero passa accanto a un
tetto di pietra che ci sovrasta per un centinaio di
metri per poi arrivare, finalmente, ad un incredibile belvedere
a quasi 2000 metri di altezza. Lasciati gli ultimi alberi sotto
di noi e i tronchi anneriti da antichi fulmini di alcuni esemplari
di abete centenari, gli ultimi riquadri di erba e fiori lasciano
il terreno ad un impressionante deserto roccioso grigio chiaro
reso ancora più abbacinante dagli ultimi nevai, non insoliti
per queste montagne anche a giugno.
Il sentiero prosegue in un ambiente alpino che sembra ancora incontaminato
fino a che non sincontrano anche qui i bunker, una delle
follie di Enver Hoxha. Sparsi per tutta lAlbania, anche
nei posti più impensati sembra ne siano stati disseminati
700.000 sono volti verso la frontiera del Montenegro, ma
in questambiente viene da pensare davvero al tenente Drogo
che guarda dalla fortezza Bastiani verso il deserto dei Tartari,
e ci si domanda quale reparto si sarebbe avventurato fin qui per
sfidare queste postazioni, ma soprattutto che vita potevano fare
qui i soldati di frontiera, magari nei turni di guardia dinverno.
O forse tutto questo serviva per non far uscire nessuno dal paese?
Il gelo, lacqua, la ruggine, sembra che inizino ad avere
la meglio sul calcestruzzo e sui tondini di ferro che sembra provenissero
addirittura dal Giappone, ma passeranno ancora molti anni prima
che queste ferite siano assorbite da questa natura ancora così
netta.
La discesa verso il Montenegro sembra interminabile, ma ricca
di scorci nuovi e inattesi, come le placide e trasparenti acque
del lago Jezece che sicuramente non si è mai accorto che
per pochi metri non è più in Albania e poi le risorgive
del Vruja che in poche centinaia di metri ci fanno passare da
un deserto roccioso e inospitale senza un filo dacqua a
una valle percorsa da un prorompente fiume così trasparente
che le trote sembrano fuor dacqua.
La polizia del posto di frontiera non ci degna nemmeno di uno
sguardo e le prime persone in Montenegro che sincontrano,
parlano ancora albanese, ma sembrano vivere in un altro mondo,
fatto di casette moderne, strade asfaltate, un negozio con un
sacco di roba. Guardiamo indietro la strada fatta in questa lunga
e piena giornata. Forse quella punta allorizzonte
è ancora la vetta dellArapit e dietro cè
Thethi. Lo diciamo con orgoglio, ma anche con un con un
po di nostalgia.
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