Lungo la valle del Draa; una vacanza diversa per due ragazzi e un padre nel sud del Marocco a stretto contatto con la gente che vive nelle kasbeh.

Nella grande stanza il pavimento è quasi tutto occupato quando entriamo noi, dispensando salam alekoum a destra e a manca alla ricerca di un posto libero. Ci mettiamo a sedere e con pazienza aspettiamo lo svolgersi della cerimonia. Siamo stati invitati ad un matrimonio che si tiene nella kasbha di Beni M’Hamed e siamo stati divisi, io e mio figlio Niccolò, nella parte maschile della festa, mia figlia Gaia con le donne in un altra parte della grande costruzione di pisè dall’intonaco di un caldo color ocra. Sono un pò invidioso perchè le donne con i loro abiti tradizionali neri, ma abbelliti da mantelli con coloratissimi ricami di lana, con le loro mani e piedi tatuati di henna, con i loro argenti addosso e con le loro grida di yu-yu, mi sembrano più interessanti, ma la promiscuità dei sessi qui sembra assolutamente proibita. Addirittura il futuro marito non ha ancora visto la sposa visto che viene da un villaggio diverso. Lei ha 15 anni e lui poco più di venti. Il caldo è opprimente perchè il grande stanzone ha solo delle finestre piccole, ci sono quasi un centinaio di uomini e la jellaba che mi hanno donato, benchè di cotone leggero, ho dovuto metterla sopra il pantaloncini e la maglietta che gia indossavo. Passa una mezz’ora e poi arriva il tè con l’immancabile aggiunta della menta che, sebbene bollente e zuccheratissimo, lo rende più fresco. Ancora mezz’ora di caldo asfissiante e poi passano con una brocca e un recipiente di acciaio a lavarci le mani per il successivo banchetto dove il cibo è portato su piccoli vassoi attorno al quale, sempre a sedere, si mettono 6-8 uomini. Tajine di manzo con prugne, una sorta di spaghetti conditi con zucchero a velo e una spruzzata di mandorle tostate e poi un rinfrescante vassoio di melone e anguria. Chiedo a Abdu come mai si fanno i matrimoni in un periodo così caldo – mi immagino soprattutto il disagio delle donne e infatti poi vengo a sapere che mia figlia ha sofferto moltissimo il caldo – ma mi risponde che è il periodo migliore perchè i tanti parenti invitati non hanno bisogno di coperte per dormire, dal momento che poi il matrimonio si protrae per più giorni. Una soluzione senz’altro pratica!

Poco prima del tramonto donne e uomini escono nello spiazzo davanti all’abitazione dello sposo, una piccola banda suona tamburi e flauti e i ragazzi e gli uomini, tra cui il futuro marito, io e mio figlio tirati un pò a forza, diamo sfoggio della nostra abilità danzante, mentre tutte intorno e a debita distanza, le donne in nero, ma dagli occhi attenti, incitano con i loro gridi.
E’ questa divisione che forse ci soprende di più a noi occidentali. Niente coppie a giro, solo uomini o donne, quest’ultime quasi mai da sole, nessuna effusione in pubblico, anche i pranzi separati...
Facciamo amicizia per strada con una giovane che, stranamente non è velata e si permette persino di rivolgerci parola. Scopriamo, davanti ad un tè offerto a casa sua, che è una giovane separata, ma suo marito non le da nulla per la figlia e probabilemente non è ben vista dai vicini. E’ appena tornata da tre mesi di lavoro in Spagna a raccogliere fragole ed è sicuramente tornata con un altra ottica di vita.
Siamo arrivati a Tagounite, a pochi chilomentri dalla frontiera con l’Algeria, dove il confine non separa che sassi calcinati dal sole di un hamada infinita, solo perchè qui ci abita una guida escursionistica mia amica, Abdou che da anni ormai porta, camminando, turisti alla scoperta del suo paese e del sud del Marocco. Ci racconta del suo viaggio tra le tombe dei marabutti, uomini santi o sante, le cui tombe, ben riconoscibili per la piccola cupola, sono ancora meta di frequenti pellegrinaggi. La tradizione vuole che prendendo un oggetto, un sasso o un legno presso la tomba e poi dormendoci insieme, aiuta a ricordare il sogno fatto e ad avere un messaggio propiziatorio per la propria vita. Anche un altro viaggio fatto con una carovana di dromedari verso una oasi santa, sembra affascinante, anche perchè la notte si dorme in tenda e gli altri componenti marocchini della carovana animano con i loro canti e la loro musica la notte tra le dune. I villaggi sorti ai margini dei palmeti sono l’altra grande attrazione della zona ed ecco le kasbeh, le fortezze, gli ksar, i villaggi fortificati e gli agadir, i granai, costruiti solo di pisè, un impasto di sassi, argilla e paglia essiccata, ma con una grande abilità che consente di innalzare anche case a più piani, utilizzando per i solai tronchi di legno di palma o di tamerice. Nei labirintici corridoi che si sonodano al suo interno c’è davvero sapore di medioevo. Nei lunghi passaggi illuminati solo da aperture dal soffitto, ci sono porte di legno consumate che danno su antri flebilmente illuminati da lampadine di pochi watt, odore di legna e di stalla, sguarid fugaci di donne in costume che si ritirano subito alla vista di un turista... non è facile farci l’abitudine. Il paese moderno è invece costituito solo una fila di abitazioni lungo la strada principale, il mercato che si tiene due volte la settimana, qualche ristorante, il parcheggio dei taxi e dei furgoni per i villaggi delle vicine oasi, due hamam e le solite stazioni di gendarmeria e dell’esercito vista la vicinanza dell’Algeria con cui il marocco non ha vissuto momenti molto sereni, sopratutto una ventina di anni fa, dopo la famosa Marcia Verde che portò all’occupazione del Sahara Spagnolo e alla guerra con i Saharawi, che ancora oggi non ha trovato una risposta soddisfacente per entrambe le parti. Ma è la vicina oasi formata dal fiume Draa che è la vera attrattiva di questo lembo di Marocco. Nato alle pendici delle montagne dell’Alto Atlante, in questi giorni di giugno stranamente coperte da imponenti cumoli temporaleschi, il fiume percorre tutte le fasce climatiche del mediterraneo partendo dai boschi di cedro a quelli di leccio per poi passare alla macchia mediterranea sempre più scarsa fino ad arrivare alla steppa vera e propria. Nel suo corso però arricchisce ogni singola valle, ogni pianura nei suoi pressi, di una preziosa linfa vitale che fa crescere una striscia di palme da dattero lunga centinaia di chilometri, all’ombra delle quali popolazioni berbere e arabe hanno per secoli tratto il loro sostentemento con una agricoltura semplice, ma molto produttiva, grazie anche all’aiuto di una profonda e sistematica opera di canalizzazione, abilità che fu portata anche sui desertici contrafforti della Sierra Nevada, in Spagna e che ancora oggi è usata nei paesi dell’Alpujarra. In alcune kasbeh di questa vallata è possibile ancora vedere la mellah, il quartiere che fino agli anni successivi alla seconda guerra mondiale era abitato dagli ebrei, una colonia numerosa e miracolosamente risparmiata dalle deportazioni grazie all’appoggio dell’allore re del Marocco che si oppose fermamente alle richieste del governo collaborazionista di Vichy, ma che preferì, appena possibile, ritornare nella neonata nazione di Israele. Di questa fiorente comunità non è rimasto che il retaggio dell’artigianato trasmesso agli arabi, soprattutto di argenteria, e qualche muro annerito e spoglio di una vecchia sinagoga, anche se ogni tanto qualche ebreo marocchino ritorna a vedere la kasbah dei propri padri.

E’ il tramonto. Anche oggi, verso i monti dell’Atlante, torreggianti cumoli nembi, tuonano e lampeggiano. Il Draa, gonfio dalle piogge dei giorni scorsi che avevamo incontrato attraversando le montagne, è arrivato anche qua, a centinaiadi chilometri di distanza, riempiendo i canali che sembravano secchi da secoli. La gente è in fermento; si rattoppano gli argini, si aprono le varie chiuse per regolare l’afflusso dell’acqua nei vari campi dalle zolle spaccate, i bambini giocano con l’acqua fangosa. Niccolò, ribattezzato Said dai ragazzi della kasbah, approfitta dell’ultima luce per continuare una partita a calcio, uno sport che per fortuna accomuna tutti i ragazzi del mondo, Gaia, chiamata Sena, si fa rifinire, da una paziente ragazza, i tatuaggi alle mani e ai piedi con l’henna per un ricordo della Valle del Draa che potrà portare anche in Italia e durerà ancora per due settimane, mentre spero che tutto quello che abbiano visto gli rimanga per sempre.
E io? Da una duna di sabbia che guarda verso il Sahara profondo, verso Timbouctu, che un cartello indica a 50 giorni di marcia, mi ricordo di una storia letta tempo fa dove si racconta l’incontro di un turista con un tuareg, dove il primo, pavoneggiandosi per la sua impresa, dice al tuareg che ci ha messo solo 7 giorni di viaggio ad attraversare tutto il deserto, e il tuareg gli risponde: “e gli altri 43 giorni cosa hai fatto?”, e aspetto il sole che scompaia, che compia un altro giro, mentre la mia vita in questo viaggio, ne ha fatto un altro.

La valle del Draa si può esplorare con l’Associazione la Boscaglia che promuove viaggi a piedi e che in questa occasione si appoggia alla guida descritta nel testo e che da anni ormai organizza viaggi anche nel resto del Marocco: Abdou Belfaiza.
Abdou è in collaborazione anche con l’Associazione Il Cammello Blu che promuove anche esperienze di vita più a diretto contatto con gli abitanti del villaggio e finanzia direttamente alcuni piccoli progetti culturali e economici.