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Cres,
l'isola della pietra e del silenzio
Tramuntana,
così è chiamata la parte settentrionale dell'isola
di Cres, la più grande tra le isole dell'Adriatico e la
prima che s'incontra, venendo dall'Istria, di quell'arcipelago
che poi si disperde in altre mille isole, isolotti e scogli che,
per quasi 500 chilometri si disperde sulle coste della Dalmazia
fin quasi ai confini dell'Albania.
Non è un nome scelto a caso; situata com'è, quasi
di fronte a Rijeka, è la prima parte dell'isola che prende
uno dei venti più freddi e veloci di questa parte di Adriatico,
la temibile Bora. Vento e umidità hanno fatto sì
che questa parte dell'isola sia molto più verde del resto
dell'isola in cui la vegetazione si riduce ad una macchia mediterranea
sempre più bassa e rada via via che si scende a sud.
E in mezzo a questi boschi sono ancora presenti numerosi villaggi,
oggi quasi praticamente abbandonati, dove centinaia di persone
riuscivano a vivere coltivando magri appezzamenti di terreno strappati
alle pietraie calcaree, mangiando castagne e bevendo l'acqua degli
stagni che si formano nelle depressioni del terreno dove uno strato
d'argilla impermeabilizza il terreno. Alberi vecchi e nodosi,
cavità nel terreno, rocce dalle forme bizzarre, sono manifestazioni
naturali comuni in questa zona dell'isola e hanno contribuito
alle tante storie che si raccontano di masmalic, i folletti dispettosi
che si risvegliano quando qualcuno butta dei sassi nei crepacci,
di zmajevi, i draghi che vivevano nelle foibe più profonde,
e di stablo kao bozanstvo, alberi sacri che custodivano le anime
dei defunti. La particolare natura calcarea e rocciosa del terreno
ha prodotto anche una terminologia tutta particolare per i diversi
aspetti visivi del suolo. Se è cosparso di sassi grandi
come un pugno e sparsi sulla terra rossa si chiama hrnjage. Se
i sassi sporgono dalla terra per mezzo metro e sono appuntiti
e ruvidi si chiamano skrape, e quando sono ancora più alti,
e nemmeno una pecora potrebbe passarci in mezzo, allora sono chiamati
hruste. Tutta l'isola è poi delimitata da migliaia di chilometri
di gromace, i muretti a secco che conferiscono un aspetto particolare
al paesaggio dell'isola, soprattutto nelle zone più brulle,
che formano migliaia di ograjice, recinti di pietra dove le pecore
venivano tenute al pascolo. I sentieri che si snodano tra le gromace
si chiamano klanicic, e se sono più ampi, tanto da far
passare un carretto trainato da buoi, si definiscono con il nome
di stozà.
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Beli,
un piccolo paese abbarbicato su uno sperone roccioso circondato
dal bosco da un lato e dal mare dall'altro, è il capoluogo
di quest'universo roccioso e misterioso e ospita, nei locali dell'ex-scuola
italiana, retaggio di quando ancora l'Istria e questa parte di
Adriatico facevano parte del Regno d'Italia, l'Eko Centar, sede
di un'organizzazione ambientalistica che conserva e tutela una
delle più importanti ricchezze faunistiche dell'isola,
il grifone. Il Gyps fulvus, o bieloglavi sup in croato, è
uno dei più grandi uccelli europei, con un'apertura alare
di quasi 3 metri. Le dirupate e solitarie scogliere di Cres e
i pascoli ancora relativamente ricchi di pecore allo stato brado,
sono l'ambiente ideale per la riproduzione di quest'uccello. Circa
70/80 sono le coppie nidificanti sull'isola, ogni femmina depone
un uovo che ha bisogno di due mesi d'incubazione e, una volta
nato, il piccolo cresce nel nido per quattro mesi prima di andare
a caccia da solo. Per altri due mesi rimane presso i genitori
e poi inizia a vagare per il Mediterraneo spingendosi fino all'Africa.
Solo dopo cinque anni, raggiunta la maturità sessuale e
trovata una compagna, ritornerà sull'isola per nidificare
a sua volta.
Non è una vita facile quella del grifone; spesso oggetto
di bracconaggio o ucciso da prede avvelenate, è anche in
pericolo per la scomparsa progressiva della pastorizia. Un fatto
emblematico sono i numerosi ristorantini, che s'incontrano lungo
le strade e che espongono in bella mostra uno spiedo di maiale
a rosolare sulla brace; qualche anno fa la specialità erano
gli agnelli, ma il turista, soprattutto tedesco preferisce il
suino, e anche questo, caduta l'usanza di fare il formaggio o
di utilizzare la lana delle pecore, sta dando la mazzata finale
a quel poco di pastorizia rimasta.
Intorno all'Eco-Centar, altre sorprese attendono il visitatore
che con calma percorre i silenziosi sentieri nel bosco. Lungo
un percorso segnalato, un felice connubio di uno scultore croato,
Ljubo De Karina, e di un poeta nativo di Beli, Andro Vid Mihicic,
hanno dato vita a una serie di sculture fatte di pietra locale
su cui sono incise alcune poesie che parlano di natura, ma soprattutto
al cuore.
Alcune di esse hanno il sapore di un haiku giapponese: "sui
monti, nei boschi, sui prati/la parola dell'anima si sente più
fortemente". Altre sfiorano segreti più profondi:
"hai mai sentito la conversazione dei fiori nella notte?/
Attorno a noi ci sono tanti misteri./La vita si nasconde anche
nei sassi - non è morto niente." In uno spiazzo in
mezzo al bosco un'altra sorpresa ci attende: un grande labirinto,
ripreso dal disegno del celebre labirinto sul pavimento della
cattedrale di Chartres, è stato disegnato sul terreno erboso
con trenta tonnellate di pietre bianche. In silenzio, e a piedi
nudi sull'erba bagnata di rugiada, percorriamo quasi un chilometro
per raggiungere il centro di questo meandrico cerchio.
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E'
mattina presto quando attraversiamo le silenziose vie d'Osor.
Lunghe ombre si allungano sulle strade, sugli edifici e le mura
della città medievale, e le bianche pietre calcaree con
cui sono costruiti, nei punti in cui sono colpiti dalle prime
luci del sole, assumono un caldo colore ambrato che più
tardi si tramuterà in un abbagliante riverbero. I nostri
passi rimbombano sul lucido selciato e nell'apparente letargo
in cui sembra avvolto il piccolo paese. Un leone di San Marco,
fiero e altezzoso sul Vangelo aperto, simbolo di pace e testimone
di tante guerre, ci guarda sfilare attraverso questi vicoli carichi
di storia mentre ci avviamo verso il ponte girevole che unisce
l'isola di Cres a quella di Losinj, attraverso un canale largo
una decina di metri e lungo un centinaio e che si apre due volte
il giorno, giusto per permettere alle barche a vela di evitare
la circumnavigazione delle due isole. Si prosegue su di un largo
sentiero tra una fitta macchia mediterranea di lecci, corbezzoli
ed erica che ogni tanto si apre e lascia intravedere una sottile
costa rocciosa, una sorta di merletto bianco tra il blu del mare
e il verde del bosco. Da quest'angolazione il paese d'Osor non
si vede più, la costa occidentale di Cres appare incontaminata
dalla presenza umana e solo alcune scie nel mare ci riportano
alla nostra era, ma non ci sarebbe da meravigliarsi nel vedere
bordeggiare, con le vele al vento, qualcuno dei tanti brigantini
che dal porto di Cres e di Lussino partivano, più di un
secolo fa, per tutti i porti del Mediterraneo e oltre.
Poco oltre, un altro luogo riesce a farci sballare le nostre coordinate
spazio-temporali perché a circa 200 metri sul livello del
mare, sulla punta settentrionale di Losinj, un piccolo rifugio
di montagna che sembra preso da un passo dolomitico, in realtà
domina un panorama più marino che montano. All'interno,
la piccola cucina spartana, i lettini a castello, le foto d'alpinisti,
di gruppi escursionistici e una collezione di stemmi e d'associazioni
di amanti della montagna, aumenta ancor di più il contrasto
con l'ambiente circostante. Ma è solo un'impressione fugace,
ben presto l'immagine marina svanisce per far posto a una realtà
molto più terrena quando il sentiero riprende a salire
con in faccia il pendio roccioso del Teledrin e sotto gli scarponi
il duro e tagliante calcare della montagna. Arrivati sulla cima
di quest'enorme cono roccioso, il panorama che ci circonda ci
sorprende per l'alternarsi di terra e mare che si distende all'orizzonte.
A nord, Cres si confonde con la punta dell'Istria che si assottiglia
in un confine indefinito tra cielo e mare. A sud, l'isola di Losinj
e il resto della catena montuosa che parte dai nostri piedi, s'inabissa
pian piano lasciando galleggiare sempre più sporadiche
collinette ammantate di verde. A est, torreggia all'orizzonte
la catena del Velebit, incoronata da torreggianti nuvolosi carichi
di pioggia e le isole di Krk, Rab e Pag, in gran parte costituite
da un'altipiano roccioso, luccicano come neve fresca. A ovest,
superate le piatte isolette di Zeca, Unji e Susak, che controluce
assomigliano più a ombre di nuvole sulla superficie marina,
l'Adriatico si stende placido verso Venezia e la foce del Po e
più a sud, nell'immaginazione e se i nostri occhi potessero
perforare la foschia, forse potremmo vedere anche la costa romagnola
e il Monte Titano. Ci sediamo sparsi sulla cima del monte per
gustarci con calma la bellezza e la serenità di questo
luogo, e per un momento di meditazione, per ringraziare ancora
una volta questa natura che non finisce mai di stupirci. Nel cercare
il punto adatto al mio momento con me stesso, scendo pochi metri
verso quella che sembra una piccola cengia riparata da alcuni
pini e, con mio sommo stupore, vedo, attaccate ai rami degli alberi,
una fila di svolazzanti bandierine tibetane della preghiera
chi l'avrebbe mai detto! E invece, forse non è così
improbabile; se sei in armonia con te stesso, se sei in armonia
con l'universo, forse, non è così difficile essere
nel posto giusto al momento giusto.
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