Basilicata
coast to coast
Sulla
porta a vetri di un negozio nella ripida scalinata che da Ondavo
sale a Maratea vedo, dietro linferriata chiusa in alluminio,
la locandina del film che mi ha spinto a venire fin qui per attraversare
questa regione, così poco conosciuta, se non per i Sassi
di Matera e le sporadiche code per la neve sullautostrada
allaltezza di Lagonegro. Come dice Papaleo, il regista del
film, la Basilicata non esiste. Invece sotto di me ci sono selciati
antichi percorsi da generazioni, forse fin da prima che i greci
trovassero in occidente nuove terre fertili da colonizzare. A poca
distanza la Torre Apprezzami lasino così
chiamata perché in questo punto il sentiero era così
stretto che quando si incrociavano due asini, non potendo passare
entrambi, buttavano a mare quello ritenuto di minor valore, dando
un corrispettivo in denaro al proprietario che lo perdeva.
Sulla mulattiera che porta a San Biagio e alle rovine del vecchio
borgo di Maratea cannoneggiato dalle truppe napoleoniche non incontro
nessuno, ma finalmente il Cristo benedicente, che compare anche
nella locandina del film, mi appare in tutti i suoi 20 metri daltezza,
ancora più mistico, avvolto comè in una spessa
nebbia. Lo spettacolare panorama della costa che da questo belvedere
si spinge sulla costa calabra e anche alle isole Eolie nelle giornate
serene, lo posso solo immaginare. Ma nel silenzio ovattato della
nebbia, le rovine dellantico borgo appaiono ancora più
suggestive, e i tornanti della strada che si perdono nel nulla sembrano
un sogno metafisico. Comincia
da questo luogo simbolo della Basilicata il mio cammino allinterno
di questa regione che sorprende per i suoi panorami ariosi; le montagne
del Pollino che sono state imbiancate dalla prima neve, le ampie
fiumare solcate da sottili nastri dargento serpeggianti, le
colline graffiate da successioni di calanchi, paesi arroccati sulla
cima di poggi che custodiscono più anime che vivi nei loro
dedali di viuzze e scalette.
Un ragazzo si ferma e mi chiede se ho bisogno daiuto. Si rivolge
verso di me in inglese, certamente non abituato a vedere un italiano
camminare da queste parti. Organizza percorsi in mountain bike e
destate lavora a un piccolo cantiere navale, ma è convinto
che ci sia un grande potenziale escursionistico in questi monti
e non gli do torto, poi mi accompagna per un tratto lungo il sentiero
che sale verso il Monte Crivo dove si sente solo il vento, le campanelle
del bestiame e labbaiare di lontani cani da pastore.
Rivello è il primo paese che visito da dentro
perdendo lorientamento tra il susseguirsi di vicoli che salgono
e scendono tra file di abitazioni che sembrano in gran parte chiuse.
Dallalto, mi raccontano, Rivello ha la forma dellItalia.
Incontro Teresa che dopo trentanni in una galleria darte
a Milano, ha avuto il coraggio di riproporre la stessa cosa in questo
paese di 3000 anime. Ha un B&B che si chiama lo Straniero,
e una copia, in francese, del libro di Camus fa bella mostra sul
comodino in camera.
Non gli chiedo il perché del nome, ma cè un
piacevole viavai di gente, un pianoforte fa bella mostra nella sala
delle colazioni e Teresa ci parla di tante iniziative culturali.
Ai piedi del borgo antico il convento di SantAntonio ospita
una piccola raccolta archeologica di reperti di una necropoli preromana
raccolti su un poggio poco distante. I custodi aprono, apposta per
me, unico visitatore, la mostra e mi offrono persino la pesante
pubblicazione che lo accompagna, ma è troppo pesante da portarsi
dietro e la restituisco con dispiacere. Mi consolo fotografando
le pitture del chiostro, del Pietrafesa, fatti nel 1600, gradevole
nel suo semplice stile.
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Sul
lago di Rotonda, lasciata alle spalle lautostrada, cambia
il panorama e appare la Lucania pastorale, con i verdi pascoli
solcati dalle tracce del bestiame, dalleco dei campanacci,
dalle pendici sassose e spoglie dei monti di calcare. Il lago
è esondato nei boschi vicini per le piogge delle ultime
settimane. Attenti agli inghiottitoi mi dice un pastore
che ci vede avvicinarci al bordo dello specchio lacustre.
Il Monte Alpi mi attende a oriente con la sua piramide solitaria
avvolta da faggete e la cima nuda a prateria. Sul lato occidentale
sprofonda con una scarpata ripidissima per centinaia di metri,
testimonianza di forze tettoniche immense, ma cè
un solco, sopra il paese di Frusci, che ne intacca linaccessibilità
e un sentiero passa accanto a radi pini loricati abbarbicati sulle
rupi. Dallalto si domina tutta la Basilicata.
Seguo i crinali a nord del Sinni tra Latronico e Fardella, su
solitari stradelli forestali e arrivo a Chiaromonte, vera sentinella,
battuta da un vento freddo di borea, su terre sempre più
disabitate.
Solo il rumore che sale dalla trafficata statale Sinnica e la
quasi assenza di abitanti mi fa tornare al presente, altrimenti
potrei essere un contemporaneo di Carlo Levi che si trovava a
Aliano, poco più di venti chilometri a nord, quando scrisse
Cristo si è fermato ad Eboli.
Da Francavilla affronto le placide montagne, simili a dorsi di
balene, verso il Pollino. Mi guida lo sperone appuntito della
Timpa di Pietrasasso vicino al quale trovo riparo nel rifugio
di Acquafredda da cui partono sentieri per la cima di questo massiccio
montuoso di una delle più grandi aree selvagge dItalia,
ma il mio viaggio non è tra la natura, ma tra i Lucani
e quindi mi sposto ancora verso est per passare da San Costantino
Albanese, uno dei tanti paesi di cultura arbereshe che si trovano
nel nostro meridione, testimonianza di antichi esili per conservare
tradizioni e religione, sotto linarrestabile avanzata turca
che fagocitò i Balcani, e che in queste lande trovò
ambienti molto simili a quelli abbandonati.
Qui, e nel paese accanto di San Paolo, ci si battezza e ci si
sposa ancora con gli antichi riti e in costume tipico e in un
museo si cerca di conservare una storia che sta scomparendo insieme
alla modernità che ha portato le strade, la luce, un certo
benessere, ma anche la possibilità di scappare verso un
destino diverso.
Seguendo la distesa di ciottoli della fiumara del Sarmento raggiungo
San Giorgio Lucano, un paese nato nel 600 su una collina
di morbida arenaria che è stata traforata per costruire
abitazioni, stalle e cantine, questultime ancora usate dagli
abitanti. Un antico e insolito rito si praticava al tempo della
mietitura nei campi vicini, un rito studiato da antropologi e
persino da Pasolini che in Basilicata ha filmato Il vangelo
secondo Matteo. Un vecchio contadino fa da capro:
due mazzetti di spighe tenuti fra le labbra, una pelle di capro
legata alla schiena, i falcetti impugnati allaltezza della
testa in modo da dare limmagine delle corna, occhi sbarrati
di animale braccato
così descriveva il rito
Ernesto de Martino negli anni 60, ma ancora oggi, il 16
di agosto, questa antico rito viene ripetuto nei campi attorno
al paese.
Con i ciottoli del fiume, rotondi, piatti, bianchi, grigi, marroni,
variegati, con inclusioni di quarzo che creano forme e disegni,
un artista locale crea figure antropomorfe che si rifanno alla
tradizione; donne in costume, uomini con la coppola, contadine
che portano brocche sulla testa. Il suo laboratorio è sotto
il castello di Valsinni, quello che vide nascere e morire, dopo
una breve vita tormentata, Isabella Morra, poetessa dellamore
romantico nei primi anni del 500.
I fieri assalti di crudel Fortuna/scrivo, piangendo la mia
verde etate,/me che n sì vili ed orride contrade/
spendo il mio tempo senza lode alcuna.
Così inizia una delle sue poche rime scampate alloblio,
dopo che fu assassinata dai suoi fratelli che pensavano a una
relazione amorosa con un altro giovane poeta di Nova Siri; Diego
Sandoval di Castro. Ogni estate, per le strette strade del borgo
allombra del suo castello rivivono i suoi canti, menestrelli
suonano liuti e artigiani ripropongono mestieri antichi in questo
parco letterario dedicato alla memoria di questa giovane poetessa.
Il giorno dopo raggiungo Tursi e la sua Rabatana, cantata da un
altro poeta lucano, Albino Pierro, che invece preferì scrivere
in dialetto i suoi ricordi di questo paese che tramanda, con il
nome di questo quartiere, le sue origini arabe. Cchi ci
arrivè a la Ravaténa/si nghiànete a
pitrizza/ca pàrete na schèa appuntillèta/a
na timpa sciullèta. (Per avvicinarci alla Rabatana
si sale ad un pietrame erto come una scala puntellata a una parete
in crollo).Quasi abbandonato per il rischio di frane, costruito
comè su delle instabili balze di sabbiosa arenaria,
negli ultimi anni è stato in gran parte restaurato e chi
dorme nel suo Palazzo dei Poeti non solo gode del silenzio di
questo borgo, ma anche di una cucina fatta di ingredienti locali
e da declamazioni dello chef del ristorante dellalbergo,
anchegli poeta.
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Non
riesco ad avere consigli sicuri dagli abitanti sui sentieri da
prendere per raggiungere Santa Maria dAnglona, un altro
millenario santuario a circa 7 chilometri di distanza. Sembra
che nessuno si muova più a piedi, anzi è incomprensibile.
Le distanze e i pericoli si gonfiano e diventano terribili; sono
14 chilometri, ci sono delle discariche, ci sono i cani randagi.
Non trovo niente di tutto questo, anzi, scopro un paese di argille
che nella luce del pomeriggio assume forme e colori, meravigliosi
e incredibili. Grossi mammelloni di terra grigia sfidano il cielo
ora larghi come enormi budini, ora sottili come coltelli. Mucchi
di frammenti di conchiglie mi ricordano che qualche milione di
anni fa cera il mare, mentre radi cespugli di ginestra,
lentisco e sparto si aggrappano disperatamente a questo terreno
che con le piogge sborda e spancia da tutte le parti facendo crollare
interi paesi, come Craco, che a non molta distanza domina il paesaggio,
tenace testimonianza dellattaccamento delluomo a questa
arida terra, da amare e da odiare.
A questo proposito si può raccontare lepisodio successo
nel 1901 a Giuseppe Zanardelli, a quel tempo presidente del consiglio,
che visitò diverse città del meridione per studiarne
i problemi. Zanardelli giunse a Moliterno e fu accolto in maniera
sarcastica dal sindaco che lo salutò "a nome degli
ottomila abitanti di questo comune, tremila dei quali sono in
America, mentre gli altri cinquemila si preparano a seguirli".
Arrivo a Santa Maria dAnglona attraverso lantica Via
Marina, così ha chiamato la strada che ho percorso, un
contadino incontrato nei campi, incredulo che qualcuno fosse passato
da quel vecchio sentiero, abbandonato da decenni. La spaziosa
triplice navata romanica, con le tracce di affreschi medievali
di santi su ogni colonna e il totale silenzio, perché anche
stavolta sono lunico visitatore, mi lasciano una piacevole
sensazione di serenità e di pace e riparto volentieri per
lultimo tratto di strada che mi separa dalla costa Ionica.
Serre di plastica, frutteti ordinati, agrumeti e il grande tubo
dellacquedotto che porta lacqua nellassetata
Puglia fanno da ingrediente alla strada fino a Policoro e poi
finalmente il mare, il golfo di Taranto e la costa calabra che
si perde verso Crotone; Basilicata costa a costa!
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